Autobiografia

Tranquilli, c'è anche la versione breve nella home del forum... :)

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  1. Federico Ghirardi
     
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    Quando ero piccolo leggevo pochi libri.
    Ricordo che questo fatto preoccupava molto mia madre, che mi trovava quasi sempre intento a leggere fumetti: o dei Peanuts, o di Mafalda, o di Topolino (quest'ultimo continuo ancora oggi a seguirlo, settimana dopo settimana). Lei aveva due modi in cui cercava di trasmettermi la sua passione per i libri: il primo consisteva nel criticare più o meno apertamente la grande quantità di fumetti che sfogliavo ogni giorno (e ciò non solo non funzionava, ma era addirittura controproducente); il secondo metodo lo attuava leggendomi o raccontandomi ogni sera delle storie, e questo ha dato senz'altro i suoi frutti: spesso, infatti, inventavamo dei racconti insieme... e non so chi dei due si divertisse di più.
    I libri che leggevo per conto mio erano soprattutto volumi – semplificati e illustrati – di fiabe popolari: storie russe, cinesi, giapponesi, arabe, irlandesi, inglesi e non solo. Avevo anche alcune raccolte di varie tradizioni cavalleresche: celtiche, tedesche, spagnole... Il ciclo bretone era quello che mi affascinava di più, e Lancillotto era senz'altro una delle mie figure preferite.
    Negli ultimi anni delle elementari ho iniziato a leggere romanzi, e da allora non mi sono mai più fermato.
    Subito mi sono appassionato ai gialli (ho adorato e adoro tuttora Sherlock Holmes, ho seguito innumerevoli indagini di Maigret e sono rimasto folgorato leggendo Dieci piccoli indiani di Agatha Christie) e ai libri di avventura. Poi, come molti, moltissimi della mia generazione, mi sono avvicinato al genere fantasy grazie a Harry Potter: grazie al quarto volume, in particolare, perché è il primo che mi è stato regalato. Ho scoperto la fantascienza scovando per caso, nella casa dei miei nonni, una vecchia edizione di Dalla Terra alla Luna di Jules Verne. Solo in seguito ho iniziato a leggere gli horror di Stephen King (che in breve è diventato uno dei miei scrittori preferiti), i thriller, i noir (il primo che mi sono trovato fra le mani è stato L.A. Confidential, di James Ellroy) e qualche romanzo storico (Ivanhoe, di Walter Scott, è senza dubbio uno dei libri più belli che abbia mai letto per la scuola).
    Come potrei stare ore e ore a parlare dei miei autori preferiti, così potrei scrivere pagine e pagine sui loro libri che più mi hanno appassionato. Tuttavia, per non dilungarmi, mi limito a un elenco privo di ordine logico: Wilbur Smith, Richard Bach, Anne Rice, George Orwell, Isaac Asimov, Ken Follett, Tolkien, Eoin Colfer, Agota Kristof...
    Se i romanzi costituiscono la mia principale fonte d'ispirazione, i film si trovano senza dubbio al secondo posto. Già in molti mi hanno detto che il mio stile narrativo è spesso cinematografico; in effetti, quando devo descrivere una scena particolare, prima la focalizzo, come se la proiettassi nella mia mente, e poi inizio a batterla sul computer. Alcuni dei miei film preferiti sono: Matrix, Star Wars, Alien, Terminator, Predator, Spider-man, Ritorno al futuro, The mask, Hook, Jumanji, Il sesto senso, E.T., Blade Runner, Indiana Jones, Jurassik Park, Il Signore degli Anelli, Edward mani di forbice, Lady Hawke, Face/off, Shining... Senza dimenticare i vari Fantozzi e tutti i film di Bud Spencer e Terence Hill, che una volta vedevo e rivedevo in continuazione.

    Durante l’estate del 2004, dopo aver terminato gli esami di terza media, sono andato in vacanza nella casa di montagna dei miei nonni, in Valle di Susa. Mi sono messo in viaggio con l'idea di scrivere un racconto: fra un tornante e l'altro, infatti, per distrarmi dalla solita nausea che minacciava di assalirmi, pensavo già a come iniziarlo.
    La prima sera sono andato a letto armato di biro e bloc-notes e ho cominciato a scrivere, ispirandomi proprio a quella vacanza per l’incipit del mio racconto; il giorno successivo l'ho completato, dopodiché ho iniziato a batterlo sul vecchio portatile. Per tutta la settimana non ho fatto altro che scrivere, ampliando la storia e aggiungendo dei personaggi. Alla fine ho ottenuto una decina di cartelle di word e, non essendo intenzionato a scrivere un romanzo ma una semplice storiella, ero piuttosto soddisfatto.
    Per me è stato naturale – istintivo – scrivere un racconto fantasy: cioè, partendo da una situazione realistica (un ragazzo che, insieme al suo miglior amico, va in vacanza dai nonni), ho innestato sempre più elementi fantastici (sinistre apparizioni, urla agghiaccianti, creature demoniache...). Il bello di questo genere è che la creatività può davvero galoppare a briglie sciolte, ed è proprio quello che ho fatto: ho lasciato che fosse la fantasia a trasportarmi; dove, non lo sapevo ancora.
    Questa breve ma intensa esperienza è stata davvero catartica per me: ho scoperto che scrivere mi faceva sentire bene, molto bene. Un paio di settimane più tardi, infatti, dopo essere tornato a casa mia, ho deciso di scrivere il seguito del primo racconto. Questa volta l'ho battuto direttamente al computer e, benché non fossi granché veloce con i tasti, non ho impiegato molto per raggiungere le venti pagine. Poi l'estate è terminata e mi sono ritrovato catapultato nel mondo delle superiori, ma non per questo ho smesso di dedicarmi al mio piacevole passatempo. Durante le prime settimane di Liceo scientifico-tecnologico, dunque, ho scritto il terzo episodio delle avventure di Bryan (che allora però aveva un altro nome); poi, con il trascorrere dei mesi, il quarto, il quinto e così via... arrivando infine a circa cinquecento cartelle di word.
    All'inizio la scrittura era un semplice diversivo, che mi consentiva per un po' di evadere dalla realtà, tuttavia, giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, è diventata una vera e propria passione.
    L'ispirazione per una particolare scena poteva cogliermi in qualsiasi momento: sul treno, sotto la doccia, nei minuti di dormiveglia e persino durante le verifiche. Una volta, nel bel mezzo di un test di non ricordo quale materia, sono stato folgorato da un'idea improvvisa e non ho potuto fare a meno di appuntarmela brevemente... sul retro della calcolatrice, perché era l'unica cosa che avevo a disposizione (e nel mentre tenevo d'occhio la professoressa: sarebbe stato imbarazzante farle leggere quegli appunti per dimostrarle che non si trattava di un “bigliettino”). In un'altra occasione (mi ero svegliato di soprassalto nel cuore della notte con un'idea che dovevo assolutamente buttare giù prima che mi passasse di mente), non avendo voglia di accendere il mio computer, ho abbozzato un'intera scena su un pacchetto di cartucce per la sferografica, dopo averlo svuotato, aperto e appiattito sulla scrivania.
    Giunto al terzo anno di Liceo, ho ripreso in mano i primi due episodi – trenta pagine in tutto – e sono inorridito rileggendoli: mi sembravano a dir poco infantili. Allora, mantenendo l'ossatura della storia, li ho riscritti completamente, più volte, trasformandoli in un romanzo di circa trecento cartelle.
    È stato allora che ho cominciato a pensare alla pubblicazione. Cioè, in realtà sono stati i parenti e gli amici a suggerirmi di tentare. All'inizio non ero molto convinto, ma poi mi sono detto: “Perché non provare? Mal che vada, non succede niente”.
    Dopo un'ulteriore rilettura, mi sono deciso a stampare diverse copie dello scritto, dopodiché ho cercato su internet gli indirizzi di alcune case editrici. Quindi ho spedito la mia storia, allegando una sorta di scheda-libro in cui avevo riassunto l'intera vicenda e in cui avevo inserito alcuni estratti che mi parevano accattivanti. Nel frattempo è giunta l'ora del Salone del Libro di Torino (del 2007): muniti di varie copie dello scritto, il mio patrigno ed io siamo passati in diversi stand, fra cui quello della Newton Compton, e abbiamo proposto il libro... In realtà era lui a parlare, mentre io – timidissimo – mi tenevo in disparte, reggendo due sacchetti contenenti centinaia e centinaia di pagine, e mi limitavo a salutare e sorridere in modo impacciato. Cristiano Armati, che sarebbe poi diventato il mio editor, ha chiesto: “Ma lui non parla?”. Ho risposto che preferivo di gran lunga scrivere. Poi lui ha dato una breve occhiata al plico di fogli e mi ha chiesto di inviargli il tutto anche tramite mail, perché in mezzo al caos del Salone c'era il rischio di perdere qualcosa.
    Circa un mese più tardi, mentre mi trovavo a casa della nonna, mia madre ha telefonato piangendo. Subito mi sono sentito ghiacciare e ho pensato che fosse accaduta qualche disgrazia, poi lei mi ha detto: “La Newton Compton ti pubblicherà il libro”. Ho impiegato una decina di secondi per recepire il significato di quelle parole e perlomeno il doppio per riuscire a dire qualcosa. Mi sentivo stordito, incredulo, e avevo voglia di mettermi a saltellare per l'appartamento come un pupazzetto a molla, tuttavia sono rimasto immobile ad ascoltare mia madre: “Bisogna andare a Roma per firmare il contratto”.

    Ho visto per la prima volta il libro “in carne ed ossa” nelle mani del giornalista Fabio Tanzilli, venuto a intervistarmi pochi giorni prima dell'uscita di Bryan di Boscoquieto nella terra dei mezzodemoni nelle librerie. “Posso guardarlo un attimo?”, gli ho chiesto e lui, un po' perplesso, me l'ha passato. È stata una grandissima emozione stringerlo fra le mani, sfogliarlo, accarezzarlo: mi sono dovuto sforzare per trattenere la commozione. Altrettanto emozionante è stato, dal 17 aprile 2008 in poi, vedere il mio romanzo nelle librerie: senz'altro quelli che mi hanno visto fermo per un quarto d'ora davanti allo stesso libro, intento solo a fissarlo o al massimo a sfiorarlo, mi avranno preso per un idiota.
    Una mattina un mio professore mi ha chiamato alla cattedra e io, abbastanza inquieto, mi sono avvicinato. Mi aspettavo un rimprovero di qualche genere, invece lui ha aperto la valigetta di pelle, ha tirato fuori una copia del mio libro e mi ha chiesto: “Mi faresti l'autografo?”. Nonostante il forte imbarazzo, è stata una bella soddisfazione fare la dedica a lui e poi, di seguito, ad altri miei insegnanti: una sorta di rivincita, dopo tutte le volte in cui loro mi avevano firmato il libretto dei voti. Anche i miei compagni si sono mostrati entusiasti quando hanno visto la paginata su La Stampa dedicata a Bryan: molti di loro hanno cominciato a leggere il libro (anche quelli che avevano già letto la storia mentre io la scrivevo, episodio dopo episodio) e quasi tutti sono venuti a sorbirsi la mia prima – e balbettante – presentazione.

    Ho sempre odiato i telefoni, e i telefoni hanno sempre odiato me, fin da quando ero piccolo.
    Non appena i giornalisti hanno iniziato a telefonarmi per intervistarmi, il mio timore per quegli apparecchi si è intensificato. Nella mia prima intervista radiofonica non sono nemmeno riuscito a raccontare la trama del mio romanzo, tanto la mia voce era insicura. E nelle interviste per i quotidiani i giornalisti dovevano quasi tirarmi fuori le parole con le pinze. Insomma, si è trattato di una violenta lotta contro la mia innata timidezza. A dir poco traumatizzante è stato vedere l'enorme telecamera di una troupe del Tg2 che, piazzata nel salotto di casa nostra, mi fissava minacciosamente: mi pareva che quell'occhio meccanico potesse folgorarmi da un momento all'altro.
    Ma la vera prova del fuoco è avvenuta quando mi sono trovato sotto i riflettori della trasmissione Unomattina; mia madre ed io da Torino siamo andati in treno fino a Roma, dopodiché lei ha cercato di impedirmi di cadere in preda all'ansia. Sono arrivato negli studi televisivi con l'intestino annodato e ricordando appena il mio nome. La trasmissione era in diretta, ovviamente, e non sapevo neanche quali domande mi avrebbe fatto il conduttore. A ogni modo, sono riuscito a parlare, a non impappinarmi, e i pochi minuti d'intervista sono passati subito. In seguito al calo di tensione, mi sono sentito sciogliere e mi sono trascinato via a mo' di gelatina.

    A maggio del 2009 è uscito il secondo volume della pentalogia, Bryan di Boscoquieto e il Talismano del Male, in concomitanza con la pubblicazione di una nuova edizione del primo libro.
    Come nel caso precedente, ho ottenuto il secondo romanzo da una riscrittura completa di due episodi, il terzo e il quarto, delle avventure di Bryan che avevo scritto nel 2004. Trasformando circa 80 cartelle di word in un libro di 470 pagine, ho cambiato molte cose, ma in generale l'ossatura della storia è rimasta la stessa.
    Nel frattempo ho delineato una struttura complessiva della saga, suddividendo tutti gli episodi che avevo già scritto in altri due romanzi e cominciando a preparare una scaletta del quinto e ultimo volume.
    A ottobre Bryan di Boscoquieto e il Talismano del Male ha vinto il Premio Nazionale di Arti Letterarie 2009, indetto dall'associazione Arte Città Amica.

    A gennaio del 2011, mentre mi preparavo a sostenere gli esami del secondo anno di Lettere Moderne e Contemporanee (dell'Università di Torino), è uscito il terzo volume, sempre con la Newton Compton: Bryan di Boscoquieto e la Maledizione di Morpheus. Nel contempo è stata pubblicata una terza edizione di Bryan di Boscoquieto nella terra dei mezzidemoni.
    Ho ottenuto questo capitolo della pentalogia rielaborando il quinto episodio, il più lungo che abbia mai scritto. Prima ancora di quest'ultima pubblicazione, ho preso gli ultimi tre episodi (cioè le ultime centinaia del mezzo migliaio di pagine che avevo buttato giù prima di iniziare a pensare a un romanzo vero e proprio) e ho iniziato a darmi da fare con il quarto volume.
    L'ho terminato durante l'estate del 2011... e già non vedevo l'ora di dedicarmi al quinto.
     
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